Viterbo – Riceviamo e pubblichiamo – Mentre in Arabia Saudita sono appena cominciati i lavori per realizzazione del progetto più utopico e futuristico del mondo, a Viterbo ci vorrebbero scippare l’aeroporto.
Proprio così, una delle pochissime opere cantierabili del nostro Paese, potrebbe essere archiviata nel silenzio assordante di chi potrebbe, anzi dovrebbe, intervenire.
Infatti l’Ente nazionale dell’aviazione civile che dapprima aveva scelto Viterbo quale terzo scalo aeroportuale del Lazio, recentemente, nella bozza del Piano nazionale aeroporti, ha quasi totalmente ignorato lo scalo della Tuscia per la cui fattibilità sono state spese ingenti risorse dei contribuenti.
L’Enac ci aveva assegnato un circuito internazionale di Formula 1 è ora prova a rifilarci il contentino con una pista provinciale da gokart.
Mentre da noi – assopiti da due anni di Covid e da paranoie di guerre nucleari – non c’è tempo né voglia di pensare al futuro, assorbiti come siamo dai problemi causati dalle buche sulle strade, nel deserto arabico le ruspe stanno scavando tra la sabbia per costruire “the Line”, la città verticale lunga 170 chilometri e alta 500 metri ove in piena sostenibilità potranno vivere 9 milioni di persone.
Basterebbe che i comuni della Tuscia e le istituzioni, a cui abbiamo rivolto l’invito, formulassero entro il 21 novembre, delle puntuali osservazioni al Piano nazionale aeroporti per stabilire una interlocuzione con il ministro dei Trasporti finalizzata a dare attuazione al principio della continuità amministrativa, rimettendo lo scalo viterbese tra le priorità del sistema aeroportuale nazionale.
Infatti se vogliamo avere futuro e credibilità dobbiamo rispettare il principio suddetto, per cui il presidente dell’Ente nazionale dell’aviazione civile deve seguire e continuare il lavoro fatto dal suo predecessore e così, sui grandi progetti, deve avvenire per gli amministratori locali.
Ragionando diversamente, senza dare motivate e sensate spiegazioni, rischiamo di affidare ai capricci dell’ultimo arrivato le sorti dello sviluppo del nostro paese. Non ci lamentiamo poi se tra i 6 milioni di nostri emigrati all’estero qualcuno andrà a vivere e a lavorare nell’arabica città del futuro.
Giovanni Bartoletti